L'articolo
di Luigi Mariani apparso su CM a commento del lavoro di Stein et
al., 2017, è esaustivo e chiaro nel
sottolineare che l'attuale situazione di scioglimento dei ghiacci artici
non è affatto unica nella storia climatica della Terra.
Vorrei solo aggiungere qualche breve nota per così dire "spettrale" e per
questo mi riferisco ai dati resi disponibili da Stein et al., 2017 nella
tabella S2 del materiale supplementare allegato all'articolo, in particolare
a PIP_B_25, l'indice del ghiaccio basato sul brassicasterolo, e al suo spettro
LOMB. Per questo mostro la figura 1 (pdf)
Fig.1: Serie PIP_B_25, indice dell'estensione
del ghiaccio e suo spettro. Nel quadro superiore le due bande colorate
definiscono due situazioni del ghiaccio: in basso (giallo oro) copertura
ridotta; in alto (celeste) ghiaccio stagionale. Sopra a 0.7 il ghiaccio
è perenne. Simile alla figura 6 di Stein et al.,2017, parte destra.
Nel quadro centrale, la potenza dello spettro delle derivate è stata
moltiplicata per 2.
in cui il quadro in alto fornisce la situazione dell'estesione del ghiaccio (in questo caso artico) nel corso dell'Olocene e sottolinea, tramite le righe verticali rosse e le bande di diverso colore, i periodi di copertura estesa e ridotta.
Due aspetti attirano l'attenzione:
mostra la funzione di autocorrelazione dei dati originali e della loro derivata e il sensibile miglioramento (diminuzione) della persistenza. Come già notato in altri post sulla memoria a lungo termine (ad esempio qui) i periodi più lunghi tendono ad essere modificati dalla memoria a lungo termine e in qualche caso, come in figura 1, a scomparire, mentre i periodi più brevi si mantengono dopo la trasformazione ma cambiano la potenza. Il periodo di circa 8000 anni può essere trascurato e, almeno parzialmente, considerato un artefatto della persistenza; il periodo attorno a 3000-3200 anni deve essere considerato reale, anche se debole, mentre la coppia di periodi a 1000 e 1200 anni fa parte del periodo a circa 1000 anni (ciclo di Eddy) già osservato da Scafetta, 2012, da Kern et al., 2012 e qui su CM). Anche i periodi attorno a 208, 225, 352, 561 trovati da Kern et al, 2012 in spettri sia delle macchie solari che dei sedimenti lacustri in Austria-Slovacchia sono presenti in questo spettro. Anche l'analisi spettrale dei dati di Jiang et al, 2015 (carotaggi tra Islanda e Groenlandia, qui su CM) mostra periodi di 500, 1000 e 3100 anni. Il massimo di 1500 anni, che Kern definisce "non solare" non appare nello spettro di PIP25 ma si vede bene nello spettro dei dati di Jiang et al, 2015.
Conclusioni
La conferma che anche nell'indice di copertura glaciale PIP25 compaiono
ciclicità comuni a dataset diversi (solari e non) e che l'analisi della
persistenza permetta di non considerare i cicli di periodo più lungo
è senza dubbio interessante per capire meglio i meccanismi climatici,
ma a mio parere l'aspetto "politico" più essenziale del lavoro di Stein et
al, 2017 è quanto sintetizzato nella parte superiore di figura 1.
Siamo in un periodo di estesa copertura glaciale e dobbiamo considerare le
piccole fluttuazioni per quello che sono: normale evoluzione delle grandezze
climatiche.
Se la politica decide di fare scelte, legittime, come la ridistribuzione globale della ricchezza, ha l'obbligo morale nei confronti dei cittadini di chiamarle con il loro nome, senza inesistenti foglie di fico scientifiche.
Tutti i grafici e i dati, iniziali e derivati, relativi a questo post si trovano nel sito di supporto qui |
Bibliografia