CM202 / CHEW

Il peso della variabilità climatica su origine e irradiazione di Homo sapiens

Franco Zavatti, Luigi Mariani

Premessa e inquadramento storico-geografico
La teoria più accreditata vede Homo sapiens fare la sua comparsa in Africa orientale fra 200 e 250.000 anni fa a partire dal più antico uomo di Heidelberg. La successiva diffusione di sapiens dal centro d’origine lo porterà intorno a 60 mila anni fa a uscire dall’Africa e a migrare verso l’Europa e l’Asia, per raggiungere da quest’ultima, l’Australia e le Americhe tramite “ponti” naturali creatisi a seguito del grande abbassamento del livello marino (circa 120 m in meno rispetto al livello attuale) proprio delle fasi glaciali.
Fig.1: Principali traiettorie di irradiazione di H. sapiens e epoche relative (Image credit: Genome Research Limited)

In tale processo di irradiazione dei nostri antenati, descritto in figura 1, assume un‘importanza rilevantissima il clima del Pleistocene, con il caratteristico alternarsi di fasi glaciali e interglaciali e con le grandi oscillazioni caratteristiche delle fasi glaciali che alternano periodi molto freddi (stadiali freddi alias eventi di Heinrich) a fasi più miti (interstadiali caldi alias eventi di Dansgaard Oescher), come mostrate in figura 2.
Fig.2: Andamento termico del GRIP core del plateau groenlandese durante la glaciazione di Wurm con indicati 21 eventi D-O (Ganopolski A., Rahmstorf S., 2001). Si noti il caratteristico alternarsi di stadiali freddi e interstadiali caldi, 21 in tutto e numerati in modo crescente a partire dal più recente (oscillazione di Allerod). Durante l’intestadiale caldo 8 che ha inizio circa 36000 anni fa ha luogo l’arrivo di Homo sapiens in Europa. In questo grafico la scala dei tempi è rovesciata rispetto al resto del post.

Nella sua migrazione dalle sedi africane, sapiens attraversa il Medio Oriente e l’Anatolia per poi raggiungere l’Europa attraverso due vie e cioè quella che corre a Sud del mar Nero attraversando il Bosforo e la Tracia (il Bosforo era allora chiuso in virtù del basso livello marino) e quella che corre a Est del Mar Nero e che attraversa la catena del gran Caucaso. Si noti che l’arrivo di sapiens in Europa ha luogo durante un interstadiale caldo (il numero 8 in figura 2) della glaciazione di Wurm.
I lettori noteranno che la grande catena del Caucaso, che ospita la più alta vetta europea, il monte Elbrus, condivide con i Pirenei e le Alpi la latitudine (attorno a 42-47° N) e l’orientamento Ovest Est, il che rende le tre catene montuose importanti aree rifugio per molte specie vegetali e animali durante le glaciazioni. A sud dei loro spartiacque, ad esempio, ha persistito anche in epoca glaciale la vite selvatica (Vitis vinifera sylvestris) i cui dolci frutti erano sicuramente consumati da Neanderthal e sapiens che forse facevano fermentare il loro succo ottenendo così i primi vini.
Quest’ultima tuttavia è solo un’ipotesi, fin qui non supportata da prove perché i reperti di recipienti usati nel paleolitico sono rari mentre conserviamo più abbondanti tracce dei recipienti in terracotta del neolitico, che ci hanno consentito di datare a circa 8000 anni fa il primo vino, guarda caso prodotto in Georgia, la Colchide dei greci, a sud della catena del Caucaso (Mcgovern et al., 2017). Il ritrovamento di recipienti paleolitici potrebbe tuttavia rivoluzionare tali ricerche, come dimostrano i tre frammenti di mortai di pietra ritrovati in un sito di sepoltura Natufiana presso la grotta di Raqefet (monte Carmelo) risalenti a 13.700-11.700 anni fa e che hanno evidenziato le più antiche tracce di produzione di birra oggi note (Liu et al., 2018). La birra era prodotta sfruttando specie selvatiche (frumenti e avene selvatici, pisello, lenticchia, giglio e una piperacea, Cyperus rotundus).
Un elemento chiave del periodo in cui sapiens esce dall’Africa e raggiunge l’Europa è la competizione per i territori e le fonti di cibo con una specie cugina, l’uomo di Neanderthal, anch’essa originatasi dall’uomo di Heidelberg. E proprio l'origine comune dall’uomo di Heidelberg fa si che le due specie, nate in ambienti del tutto diversi in termini ambientali e climatici (areale mediterraneo per Neanderthal, Africa orientale per sapiens) siano interfertili, da cui deriva che il DNA di sapiens conservi tutt’ora una certa quota di DNA di Neanderthal, estintosi circa 36.000 anni fa, in coincidenza con l'arrivo in Europa dei sapiens, spesso indicati come uomo di Cro Magnon perché in tale grotta francese nel 1868 furono rinvenuti quelli che a quei tempi erano i resti europei della nostra specie (https://it.wikipedia.org/wiki/Uomo_di_Cro-Magnon).

Tornado ai neandertaliani, si deve notare che mentre nell’interglaciale o negli interstadiali caldi delle fasi glaciali i Neanderthal si spingevano anche all’interno del continente europeo, durante gli stadiali freddi delle fasi glaciali presentavano una caratteristica distribuzione circum-mediterranea (come attestano ad esempio i ritrovamenti alla grotta di Vaguard a Gibilterra, nelle grotte del monte Carmelo in Israele e nella grotta delle Fumane sui monti Lessini in Veneto) e una rilevante capacità di sfruttamento delle risorse costiere e marine. Secondo studi recenti (Broadbank, 2013) sarebbe stata proprio la maggiore capacità di adattamento alle fasi glaciali e alle oscillazioni climatiche in esse presenti (stadiali e interstadiali) ad aver creato per i sapiens un vantaggio decisivo rispetto ai Neanderthal, che avrebbe consentito loro di sostituirsi ai Neanderthal anche nei loro areali più caratteristici.
In questo scritto facciamo riferimento a ricerche basate su proxy data che hanno consentito di descrivere a grandi linee il clima dell’Africa orientale negli ultimi 200 mila anni, il che si rivela importante per indagare il ruolo del clima nell’origine di H. sapiens e nella sua prima diffusione dal suo centro di origine.

L’indagine del gruppo di ricerca di Podsdam sui sedimenti di Chew Bahir
Un folto e ben organizzato gruppo dell'Università di Potsdam (Germania) opera, ormai da molti anni, in campagne di estrazione di carote (drilling) dai sedimenti del lago Chew Bahir, a ridosso del rift etiopico meridionale, e di zone limitrofe. Recentemente il gruppo ha pubblicato due lavori (Duesing et al., 2021 e Schaebitz et al., 2021) che hanno lo scopo di contribuire a spiegare la diffusione di Homo Sapiens, a partire da quella che viene correntemente considerata la sua "patria" originale, non molto distante da Chew Bahir, ponendola in relazione ad evoluzioni (cambiamenti) del clima, in particolare all'alternarsi di fasi umide e fasi siccitose..

Il primo lavoro
Il primo di questi lavori e cioè Duesing et al. (2021) considera l'intera serie di dati disponibile, tra 0 e 620 ka (620 mila anni fa) e organizza un'analisi della prima componente principale (PC1), derivata dai dati con un'analisi statistica che ha lo scopo di abbassare la complessità delle relazioni tra i singoli elementi che compongono la serie osservata. In pratica, per ogni elemento chimico misurato dalla carota (qui sono almeno 10) viene calcolata la prima componente principale (quella che spiega la maggior parte della varianza) e poi tutte le PC1 vengono mediate per ottenere la PC1 mostrata nella loro figura 4 che riproduciamo qui,
Fig.3: figura 4 di Duesing et al., 2021 con lo spettro wavelet troncato a poco dopo il periodo di 100 kyr e con la didascalia originale.

sulla quale si innestano le considerazioni degli autori che fanno riferimento a cicli di umidità-siccità, a loro volta condizionati dai cicli orbitali (Milankovic), che avrebbero spinto i gruppi di H. Sapiens a spostarsi nell'una o nell'altra direzione.

Tutto questo può anche andare bene, ma le nostre perplessità sul lavoro derivano dalle troppe operazioni intermedie (singole PC1 e loro media; uso di spettri wavelet per serie a passo variabile, quando all'origine la tecnica richiede il passo costante; troppi "martellamenti" sui dati per i nostri gusti). Non solo: nella figura 3 (loro figura 4) l'associazione eccentricità / PC1 mostra una PC1 (diciamo, con gli autori, il tasso di umidità) in diminuzione, in corrispondenza di un calo di eccentricità, tra 200 e 50 ka; ma anche, tra 400 e 200 ka, una salita dell'eccentricità mentre l'umidità diminuisce leggermente o rimane quasi costante. Ancora, una quasi costanza di PC1, tra 600 e 400 ka, è caratterizzata da una diminuzione dell'eccentricità.
In pratica, non c'è modo di dimostrare un legame tra eccentricità orbitale e umidità (PC1), a differenza di quanto gli autori sembrano voler sottolineare, mettendo a confronto le due serie nella loro figura.
In più, sempre dalla loro figura 4 (ma anche dalle figure successive di questo post) non sembra essere presente il massimo spettrale a 100 kyr dell'eccentricità e nemmeno, con una serie che copre 620 mila anni, quello a 405 kyr, sempre dell'eccentricità.
Tutte queste considerazioni e, last but not least, l'assoluta indisponibilità di dati con cui poter verificare le loro conclusioni, ci hanno fatto pensare ad un grande lavoro per ottenere risultati deboli o non ben documentati e giustificati, in pratica ad un articolo da dimenticare.

Il secondo lavoro
Il secondo lavoro dello stesso gruppo, Schaebitz et al., 2021, di poco precedente al primo, ci è invece sembrato di tutt'altro valore, anche se le analisi si limitano a un periodo di 200 kyr invece dei 620 del primo lavoro: intanto sono resi disponibili quasi tutti i dati usati, in forma di rapporti tra elementi chimici (K/Zr; Ca/Ti; Al/Si). Poi ci sono il δ18O, il TOC (Total Organic Carbon) e la tessitura dei terreni lacustri (sabbia, limo, argilla) espressa come percentuale delle tre componenti.
Gli autori non mancano di associare K/Zr e tessitura (entrambi indicativi di oscillazioni umido-secco) alla collocazione temporale e all'altitudine di siti archeologici e fossili con lo scopo di documentare le "migrazioni" o semplicemente gli spostamenti dei gruppi umani per adattarsi a mutate situazioni climatiche o ambientali.

Se si osserva la serie Potassio/Zirconio (K/Zr) che gli autori identificano come un indicatore del tasso di umidità
Fig.4: serie di K/zr tra 0 200 ka. I diversi colori mostrano tre sezioni (2 con 7000 punti e la terza con circa 3500) del file disponibile. Il grafico mostra una progressiva diminuzione dell'umidità fino ad arrivare ad una situazione arida attorno a 20 ka. Il grafico in basso riprende i primi 50 mila anni della serie.

si può senz'altro concordare sul fatto che una continua perdita di umidità ha avuto luogo da almeno 160 mila anni fa e che da 60 a 20 ka si è avuta una forte discesa verso l'aridità del territorio che certamente ha costretto i gruppi di H. Sapiens a sviluppare nuove strategie di sopravvivenza (ad esempio cercando insediamenti più elevati e probabilmente più umidi) e facilmente qualche evoluzione tecnologica. Di certo tra le strategie è stata applicata anche la migrazione verso altre terre più adatte alla loro vita.

A puro titolo di esempio, tra i molti possibili, uno dei terminali delle migrazioni di H. Sapiens fu l'area del Caucaso, nelle valli della Georgia (rettangolo nero), tra mar Nero e Caspio, dove sono stati trovati i primi esempi di vinificazione (Mcgovern et al., 2017) di circa 7-8 mila anni fa.

Certo, la figura 4 ci dice che dopo 20 ka l'umidità è salita di nuovo, rendendo gli ambienti del rift etiopico più vivibili, ma intanto la siccità precedente aveva messo in moto i meccanismi di difesa e adattamento che avevano condotto allo "sparpagliamento" dei gruppi umani.

Rimandando al sito di supporto per dati e grafici delle altre serie disponibili,vogliamo far notare che il TOC, il carbonio organico, mostra una buona costanza e una diminuzione dopo i 60 ka, con due aumenti (forse possiamo chiamarli esplosioni di vita, visto che parliamo di carbonio organico) a circa 150-155 e 44 ka cui si deve l'andamento decrescente sottolineato dalla linea rossa del fit lineare.
Fig.5: Serie del carbonio organico totale e suo spettro LOMB. I diversi colori separano tre gruppi di dati (i due più recenti di 7000 punti e il terzo di circa circa 3500) estratti separatamente dal file disponibile. Il grafico mostra una progressiva diminuzione dell'umidità fino ad arrivare ad una situazione arida attorno a 20 ka. Il grafico centrale riprende i primi 50 mila anni della serie. Come si vede, lo spettro non contiene il massimo a 100 kyr.

Step 3
Le serie numeriche disponibili sono state ridotte in numerosità estraendo un dato ogni 3 (1.o, 4.o, 7.o, ...) per una migliore efficienza nel calcolo degli spettri, avendo ora 5800 dati invece di 17000. Da questa estrazione derivano le serie ridotte indicate nel sito di supporto con la sigla "step 3", disponibili insieme al loro spettro Lomb. Come esempio mostriamo ancora una volta il K/Zr che gli autori trattano con maggiore attenzione
Fig.6: Serie del rapporto Potassio/Zirconio e il suo ingrandimento relativo ai primi 50 mila anni. Nello spettro LOMB, basso, si osservano il possibile massimo della precessione a 23.7 kyr e quello, più incerto, dell'obliquità a 47 kyr (o in accoppiata con i 35.5, invece dei canonici 41); il periodo dell'eccentricità a 100 kyr, invece, non si osserva affatto.

In figura 6 c'è poco da dire sulla serie, quasi identica all'originale di figura 4, ma lo spettro ci fornisce qualche indicazione utile, in particolare sull'influenza dei cicli di Milankovic di cui gli autori parlano diffusamente.
Intanto è del tutto assente il ciclo dell'eccentricità orbitale a 100 kyr (quello a 405 kyr che potrebbe essere visibile nei 620 kyr di Duesing et al., 2021 non risulta pervenuto, dato che il loro spettro wavelet della PC1 media è troncato a poco più di 100 kyr). Poi, la ciclicità dell'obliquità orbitale è qui rappresentata, con un grande forse, da due massimi spettrali a 35.5 e 47 kyr (la loro media vale 41.25 kyr) difficilmente somiglianti al netto picco già visto in altre situazioni (ad esempio in http://www.climatemonitor.it/?p=53808, figura 4, in http://www.climatemonitor.it/?p=44127, figure 4 e 5 e in http://www.climatemonitor.it/?p=51555, figure 2 e 3).
L'unica periodicità documentata abbastanza bene è quella dovuta alla precessione, tra 19 e 26 kyr, e per evidenziare questo fatto raccogliamo in tabella 1 i massimi spettrali di tutte le serie disponibili in Schaebitz et al. (2021).

Table1: Periods of Spectral maxima in Chew Bahir series (kyr)
12345678910
1K/Zr764735.523.7146
2Al/Si765034281610
3Ca/Ti71473422124.7
4TOC623824.7
26.7
12.78.22.2
5Grain1417652412413.5
6δ18O14065473520.4
28
14.27.4
9.6
4.4
5.7
1.1
cols 4,5: Obliquity?; col 6=Precession

Nella tabella si evidenzia la citata mancanza del massimo a 100 kyr, a meno di assumere (ma senza prove) che questa ciclicità sia stata modificata nella risposta e portata a 65-75 kyr nelle serie delle carote lacustri di Chew Bahir. In effetti bisogna dire che questi periodi sono particolari: allo stesso tempo comuni a tutte le serie (e stabili) e mai osservati, tranne il massimo a 74-76 kyr (nel succitato http://www.climatemonitor.it/?p=51555) nei dati di de Boer et al, 2014.

Commenti conclusivi
Le conclusioni relative al secondo articolo del gruppo di Potsdam sono:

  1. Lavoro molto interessante che propone ipotesi in gran parte giustificate dai dati e dalla loro interpretazione.
  2. Viene purtroppo data molta enfasi all'influenza dell'eccentricità orbitale che però non è supportata dai dati.
  3. La quasi altrettanto diffusa attenzione alla precessione appare invece accettabile e giustificata dai massimi spettrali.

Nel complesso, un articolo da leggere, anche per la sua visione allargata ai comportamenti dei gruppi umani nell'ambito delle fluttuazioni climatiche.

Bibliografia

  • Broadbank C.: Il Mediterraneo, dalla preistoria alla nascita del mondo classico, , Einaudi, 670 pp, 2013.
  • B. de Boer, Lucas J. Lourens, and Roderik S.W. van de Wal: Persistent 400,000-year variability of Antarctic ice volume and the carbon cycle is revealed throughout the Plio-Pleistocene, Nature Communications, 5 issue 2999, 2014. http://dx.doi.org/10.1038/ncomms3999
  • Walter Duesing, Stefanie Kaboth-Bahr, Asfawossen Asrat, Andrew S. Cohen, Verena Foerster, Henry F. Lamb, Frank Schaebitz, Martin H. Trauth, Finn Viehberg Changes in the cyclicity and variability of the eastern African paleoclimate over the last 620 kyrs, Quaternary Science Reviews, 273, 107219, 2021. https://doi.org/10.1016/j.quascirev.2021.107219
  • Ganopolski & Rahmstorf, 2001 Andrey Ganopolski & Stefan Rahmstorf: Rapid changes of glacial climate simulated in a coupled climate model, Nature, 409, 153-158, 2001. https://doi.org/10.1038/35051500
  • Liu et al.: Fermented beverage and food storage in 13,000 years-old stone mortars at Raqefet Cave, Israel: Investigating Natufian ritual feasting, Journal of Archaeological Science Reports,21, 783-793, 2018.
  • Mcgovern, P., Jalabadze, M., Batiuk, S., Callahan, M. P., Smith, K. E., Hall, G. R., Kvavadze, E., Maghradze, D., Rusishvili, N., Bouby, L., Failla, O., Cola, G., Mariani, L., Boaretto, E., Bacilieri, R., This, P., Wales, N., Lordkipanidze, D.: Early Neolithic wine of Georgia in the South Caucasus, Proceedings of the National Academy of Sciences, 201714728, 2017. https://doi.org/10.1073/pnas.1714728114
  • Frank Schaebitz, Asfawossen Asrat, Henry F. Lamb, Andrew S. Cohen, Verena Foerster, Walter Duesing, Stefanie Kaboth-Bahr, Stephan Opitz, Finn A. Viehberg, Ralf Vogelsang, Jonathan Dean, Melanie J. Leng, Annett Junginger, Christopher Bronk Ramsey, Melissa S. Chapot, Alan Deino, Christine S. Lane, Helen M. Roberts, Céline Vidal, Ralph Tiedemann & Martin H. Trauth: Hydroclimate changes in eastern Africa over the past 200,000 years may have influenced early human dispersal , Communications Earth & Environment, 2:123, 2021. https://doi.org/10.1038/s43247-021-00195-7

    Tutti i dati e i grafici sono disponibi nel sito di supporto


    04.01.22